DESCRIZIONE ANALITICA DEI TOPONIMI

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FAGGI,  VICO  DEI

Insieme ai pini, sin dal 1500, sono ricordati dal Filoteo: Sunt et hac in regione procerae inter nemora patulaeque fagi longiores, pinguioresque pini; della famiglia delle fagaceae del genere fagus sylvatica..

FALCONE,  VIA  GIOVANNI 

Di famiglia borghese e conservatrice superò gli esami del concorso di Magistratura nel 1974. Arrivò al Palazzo di Giustizia di Palermo nel 1978 ed ebbe subito l’incarico di giudice della sezione fallimentare. Dopo la morte di Cesare Terranova chiese di entrare all’Ufficio Istruzione Penale, con a capo Rocco Chinnici; in pochi mesi smaltì più di 500 processi. Nel 1980 Chinnici gli affidò il processo Spatola (mafia e droga). Studiava estratti conti e bilanci con grandissima pazienza e conduceva contemporaneamente un’indagine su Michele Sindona. Nel frattempo giunse all’Ufficio Istruzione di Palermo paolo Borsellino col quale Falcone instaurò un rapporto di collaborazione e amicizia. Dopo parecchie intimidazioni, Falcone fu barbaramente ucciso, insieme alla moglie e alla scorta, lungo l’autostrada che conduce dall’aereoporto a Palermo, nei pressi di Capaci: era il maggio del 1992. Appena due mesi dopo, in un altro barbaro attentato moriva anche il fraterno amico Borsellino.

FALEGNAMI,  VICO  DEI

Note tradizioni ha avuto l’ebanisteria che ha realizzato pregevoli lavori, ma che la civiltà dei consumi ha massificato nel generico falegnameria.

FAZELLO,  VIALE  TOMMASO

Nacque a Sciacca nel 1498. Vestì l’abito domenicano a Palermo e dei Domenicani di Sicilia, per zelo religioso e per vastità e profondità di cultura, rimase il più grande rappresentante. Uomo di studio e di fede, amava passare in veglia le notti e non si concedeva che un solo pasto, all’ora di cena. Per l’austerità della vita fu eletto diverse volte Priore del Convento di Palermo; fu anche due volte provinciale. Designato alla carica di Maestro Generale dell’Ordine, si maneggiò in maniera, che seppe umilmente sfuggire un sì distinto onore. Paolo Giovio invogliò il Fazello a scrivere la Storia della Sicilia; il Frate Domenicano, messosi all’opera, attese per ben venti anni al suo lavoro e, per rendersi personalmente edotto di luoghi e documenti, si sobbarcò alla fatica, immane per i tempi, di percorrere per ben quattro volte l’intera Isola; certamente passò anche a Linguaglossa, che egli ricorda più volte nella sua opera poderosa. La quale, romanamente scritta  apparve  nel  1558  e  procurò  vasta  fama  all’autore  che  si ebbe meritatamente il titolo di  padre della storia siciliana. Oltre al De Rebus Siculis il Fazello scrisse trattati teologici e filosofici.

FEDERICO,  VIA

Federico è probabilmente nome di un proprietario di case e di terreni esistenti nella zona.

FERLA,  VIA

Si propone il ripristino della dizione popolare ’a manedda ’a ferra. La ferula  (ferra) è dalla famiglia delle umbelliferae ed il suo nome botanico è ferula comunis. Il fusto anticamente serviva a conservare e a portare (lat. fero)il fuoco e il midollo fungeva da stoppino.

FERRARA,  VICO  VINCENZO

Nel cimitero di Linguaglossa, sulla sua tomba è incisa la seguente epigrafe:  A / Vincenzo Ferrara / che nel 1870 combattendo  i pontifici / vittorioso entrò in Roma / per la Breccia di Porta Pia / immolò giovanissimi / sull’Altare della Patria   / i figli Giuseppe e Giovanni / fervente il conflitto europeo / 1914-18 / si spense il 4 Maggio 1919.

FERRO,  VIA  SALVATORE

Del pittore messinese si conservano opere nella chiesa madre Sant’Alfonso dei Liquori (1886) e La Natività(1887), e nella chiesa dei Santi Antonino e Vito L’incoronazione della Vergine (1886).

FIERA,  VIA  DELLA

La festa della Santa Spina. Un furto sacrilego, consumato all’indomani della prima guerra mondiale, ha privato la Chiesa Madre di un prezioso calice contenente un frammento della Corona del Cristo. In onore della quale si celebrava a Linguaglossa, sino a qualche secolo fa, la festa più solenne dell’anno. Francesco Copani la ricorda nel suo Pianto, alla XVI ottava: Sta Santa Chiesa si chiam Matrici/ E a stu chianu la chiazza è vicina;/ Rinnova ogni annu comu la finici/ A lu trionfu di la Santa Spina./ Illuminata cu pompa filici/ Era la strata nta la sirinita./  Chi maistusa scena! - Ognunu dici/ Comu si fussi iornu si camina! E la ricorda Vito Maria Amico: Princeps templum, unicum parrochiale, Deiparae sacrum, Archipresbyterio commissum,   medio   fere  oppido   assurgit   non   inelegans,   in  quo  Dominicae   Coronae   Sacra   Spina   religiose   colitur,   eiusque  honori  III  Maji festum ingenti pompa ab incolis celebrat. Le spese per la solennità venivano fatte dal Comune e una ricchissima Fiera, che si faceva nei due giorni che precedevano la prima Domenica di maggio, chiamava a Linguaglossa una grande folla di forestieri.

FILANGERI,  VIA  ANASTASIA

La famiglia dei Filangeri fu originaria della Normandia. Si stabilì nel principato di Salerno, al tempo di Roberto il Guiscardo, con Angerio i cui figli feudatari furono detti Filii Angerii. Dei Filangeri furono famosi Serafino, Arcivescovo di Napoli, Alessandro viceré di Sicilia e Gaetano, filosofo del diritto. Anastasia Filangeri ebbe la baronia di Linguaglossa nel 1320.

FILICE,  VIA

La felce è una delle essenze presenti nel sottobosco. La piccola via era detta ’a strada ’e filici. Pianta perenne della famiglia delle hypolepidacee, genere pteridium aquilinum è detta volgarmente filici fimminedda.

FONDACO,  VIA  DEL

’U  funnucu  era nei paesi antichi un punto di interessante riferimento mercantile. Vi si vendeva roba al minuto per la povera gente che lo frequentava spesso e volentieri tanto che di persona che entri disinvoltamente in un qualunque ambiente si suole ancora oggi dire: Trasiu ’nto funnucu!  Vale la pena intestare al  fondaco una stradetta in cui uno di essi aveva sede.

FONTANA,  VIA

’A  funtana ’a ugghia  è un luogo assai noto tra il popolo per la presenza di una inesauribile  fontana  che  dava acqua a mezzo paese quando le scorte idriche domestiche erano per lo meno sconosciute. Alla fontana si recavano le donne con le quartare issate in testa. Lo facevano anche per mestiere, a pagamento, donne del popolo.

FONTANELLE,  VIA

Il toponimo è molto antico, è da identificarsi sicuramente con il  fontanelle di Ragabo, area boscata nella nostra pineta.

FONTE  DEL  PARADISO,  VIA

Non lontano dal centro abitato, sulle colline che fanno corona al paese, si trovano, non distanti l’una dall’altra, due piccole sorgenti: una detta ’a funtana ’o Paradisu  e l’altra ’a funtana ’o cchiattu; la prima sgorga dentro un piccolo casolare, la seconda dentro una stanza con la volta a botte. Entrambe le sorgive sono importanti non solo per l’acqua fresca e limpida che vi sgorga tutto l’anno, ma soprattutto per i meravigliosi  affreschi  che  si  trovano  alle pareti. Le due fonti sono legate all’antica Abbazia di S. Caterina che si doveva trovare nei pressi. Certamente gli affreschi della fonte del Paradiso sono molto  più  antichi di quelli della  fonte Chiatto. Nella prima fonte gli affreschi ricordano: al centro L’Immacolata, sulla parete sinistra L’ultima cena e su quella destra Gesù e la Samaritana. Nella seconda vi è solo un affresco centrale, che raffigura la Madonna del Carmelo, attorniata da Cherubini con San Simone Stock inginocchiato nell’atto di ricevere lo scapolare.

FORNACE,  VIA  DELLA 

’A carcara  il forno primitivo per la cottura di tegole e mattoni di argilla merita un ricordo. Il quartiere è detto popolarmente arreri ’i carcari.

FORTINO,  VIA

Il nome deriva dall’esistenza di un fortino, costruito più di un secolo e mezzo fa, oltre i confini del paese, per arginare le acque che, scendendo dalle germaniere e alimentando il torrente Lavina, furono causa di inondazioni e desolazioni per il nostro centro abitato. La colata lavica del 1923, quella che stava per sommergere la Borgata Catena, tagliò il torrente e deviò le acque. Si veda anche la descrizione di  Vico Germaniera.

FOSSA  DELLA  NEVE,  VIA

Nella zona, prima dell’avvento del frigidàire, si scavavano delle fosse in cui veniva ammassata la neve che in estate, trasformata in ghiaccio, serviva a mitigare la calura.

FRATE  BENIGNO,  VIA

E’ il primo Frate Cappuccino di santa vita e sicura dottrina, di cui si abbia notizia. Nacque a Linguaglossa nel 1533 e morì a Catania nel 1623. Nel nostro Convento si conserva il suo ritratto ad olio con questa iscrizione: Frater Benignus a Linguaglossa Laicus Cappuccinus etiam in catinie choro nunquam secundus ex iugi contemplatione in divinis eloquendis rebus ita exercuit, ut illustriores et praesertim Antistes Cathanensis ad eum audiendum frequenter adierant. Tandem in eodem Cathanae Coenobio in agone suo a Beata Anna visitatus nonagenarius obiit anno Domini 1623.

FRATE  BERNARDINO,  VICO  

Frate Bernardino nacque a Linguaglossa (esattamente non sappiamo in quale anno) e a Linguaglossa morì nel 1721. Spiccò nella mansuetudine, nell’ubbidienza, povertà e purità. I letterati venivano d’ogni dove ad ascoltare le sue prediche infiammate dell’ardore della carità e sostanziate di bella dottrina. Lungo il cammino del suo apostolato fiorisce il fiore ingenuo del miracolo. “Ritrovandosi di residenza nel Convento di Linguagrossa come spesso era chiamato ad assistere ai moribondi, così caduto infermo un certo Dottor di legge, allor giudice, fu pregato egli di assistergli, come gli aveva per due giorni assistito, ritirandosi la notte in Convento. Il terzo giorno, prima dell’alba volle ritornare dall’infermo, con seco avendo Fra Serafino da Linguagrossa Laico professo di gran virtù del medesimo Ordine. Quando a mezza strada fra il Convento e quella città, ecco se gl’incontrò a cavallo quel dottore medesimo; e non comprendendo come ciò esser potesse, gli chiesero entrambi chi fosse in nome di Dio, a cui quegli rispose: Io sono appunto  l’infermo dottore, che già condannato all’Inferno ci vado in anima ed in corpo eternamente a perire per una ingiusta sentenza data contro d’un povero, a cui assisteva la ragione da me ben conosciuta, per contemplare la parte opposta perché prepotente, e per avermi regalata una mula, ed è questa a cui sono a cavallo, che dovrà portarmi fino alla prima buca di questo Monte (e indicò l’Etna), e così detto spari ai loro occhi”.

FRATE  DOMENICO  DA  LINGUAGLOSSA,  VIA

Le poche notizie su questo primo grande Linguaglossese le dobbiamo a Rocco Pirri e a V. M. Amico: Pirrus Dominici a Linguagrossa meminit ex Praedicatoribus, qui verbi Dei Zelantissimus Praeco, ad animarum lucra semper intentus, asperitate vitae, et perfectissimis moribus innotuit, ac miraculis etiam coruscavit. In S. Stephano de Bivona mortale corpus deposuit, quod summa veneratione servatur. Rocco Pirri visse a cavallo tra il ’500 e il ’600. La vita di Fra Domenico da Linguaglossa dovrà essere quindi riportata per lo meno al XVI secolo.

FRATE  FELICE,  VIA

Nacque a Linguaglossa nel 1649 e compì la vita terrena quasi ottuagenario, il 27 settembre 1727. Chiamato con gli appellativi di Virgo e Angelicus, zelantissimo nell’osservanza della regola, perfettissimo in ogni genere di virtù, fu per diciotto anni Maestro dei Novizi; fu eletto anche Definitore e Vicario Provinciale. La sua vita fu tutta un inno di gloria alla povertà e all’umiltà francescana:  Se portato alcuna volta dal zelo riprendeva alcuno, andava costui poi a trovare, e dinanzi a lui inginocchiatosi gli chiedeva perdono se mai nel correggerlo avesse eccesso nel modo, e gli comandava di calpestarlo coi piedi nel volto, che gli prostrava al suolo disteso. Ebbe molte rivelazioni e fu dotato di spirito profetico. Un giorno  dopo il Matutino, rimastosi in Coro ad orare parvegli essere rapito in ispirito, e da un bellissimo giovane, da lui creduto per l’Angelo suo Custode, condotto giù nell’inferno, dove come in una gran sala vide molti in aspettativa, dicendo: - Ecco che viene! Vide indi arrivare fra molte turme di demonii il Capitano allora di giustizia della sua Patria, e da quella sala fu fatto entrare in un’altra dove un maggior maligno Spirito da lui creduto Lucifero, come in solio assiso fece ai suoi piedi costruire legato quello infelice, con ordinare di eleggervisi il processo di sue commesse malvagità, e indi comandò di essere miseramente decapitato. Sbigottito a tal veduta tornò in se stesso il P. Felice da tale rapimento, e udì l’orologio toccar le ore nove di quella notte d’inferno. Rimasti erano nel convento a dormire quella sera li Signori D. Alessandro e D. Antonio Scarlata di lui fratelli, e passato d’avanti la loro camera, dal coro uscito il servo di Dio, in udendo dar quelli segno di essere svegliati, v’entrò e richiese loro del Capitano se stesse bene o male in salute, e fugli risposto star bene e che la sera precedente gli avevan parlato. Domandatogli da quelli il perchè richiedessene rispose dessersi sognato un caso assai funesto pel medesimo, e lor raccontò quella apparizione in aria di sonno. Non vi si fece allora molto caso; non così però al far del giorno, in cui udirono suonare alla Chiesa Madrice un lungo trapasso, e appresso le campane tutte a lutto ed era appunto per la morte repentina in quella notte poco prima dell’ore nove seguita del Capitano di giustizia, e, per quel che ne sapevano, molto temettero l’eterna disgrazia di quello infelice. Il Nostro ebbe in comune con S. Francesco l’amore per gli animali, creature tutte di Dio: Trovandosi un giorno il Padre Felice nella Flora e con seco il Rev.do Sac. Don Felice Vecchio di Linguagrossa, accortosi che una lucerta aveva danneggiato alcuni fiori, prese un sassolino e la colpì con esso, talchè rimase ivi come stordita e morta. Ma pentitosi egli del fattole male, le comandò nel Divin nome di alzarsi viva e d’andare da lui; allora quella bestiola si scosse qual rediviva e andò dal servo di Dio, e costui stendendole la mano, se ne salì in essa e vi stiede godendo delle carezze che le fece in compenso, poi benedicendola la lasciò andare per la sua via.

FRATE  FRANCESCO,  VIA

Nacque a Linguaglossa dalla famiglia dei Mangano, il 24 agosto 1837. Fornito di alte doti intellettuali entrò nell’ordine dei Cappuccini, e, ancora giovanissimo, insegnò filosofia e teologia. Per ben due volte fu eletto Provinciale e fu socio ordinario del Consiglio degli Avvocati di San Pietro. Ricusò umilmente l’altissima carica di Predicatore Apostolico. Oratore insigne, dotato di parola semplice e suadente, tenne i più importanti pulpiti della Sicilia e lo ascoltò anche Roma Cristiana. Dopo la legge di soppressione curò la rinascita della Provincia e nel 1897 riacquistò il Convento dei Cappuccini di Linguaglossa, che restaurò e ampliò al prezzo dei più grandi sacrifici. La chiesa dell’Immacolata raggiunse, sotto la sua guida, il massimo splendore. Ornato di meriti e di virtù morì il 20 settembre 1921.

FRATE  GIAMBATTISTA,  VICO

Nacque a Linguaglossa nella seconda metà del ’600 e morì giovanissimo a Bronte nel 1715. Consumatus in brevi explevit tempora multa, e la sua morte fu consolata dall’apparizione della Regina degli Angeli, di cui egli era con somma tenerezza e filial confidenza divoto. I fedeli molte grazie ottennero dal Signore per intercessione del suo servo. Nato a Pietro Viola e a Francesca  Foti, sua moglie, un figliuolo, si  scoprì essere il bambino enormemente crepato, onde fu giudicato non poter sopravvivere a lungo nel vedersi spesso contorcersi e spasimare quello innocente. Disperandosi pertanto della di lui vitae dovendo il padre andare in campagna parlò coi sagrestani delle Chiese del paese, che all’avviso della di lui morte ne dessero il segno, detto comunemente di Gloria. Così fu eseguito in effetto verso l’ore 22 di quel giorno, in cui parve già di essere spirato. Ritornato poscia il padre da campagna, in passar per la Chiesa dei Cappuccini, vedutala aperta entrovvi, e accostato all’altare del Serafico Patriarca, disse a Dio in suo cuore: Già è morto mio figlio, ma pur potrebbe Iddio ritornarmelo. Se io avessi dunque tal grazia, d’ora in poi a Voi io lo consacrerei, o Signore, per servirvi a suo tempo fra questi nostri servi, acconsentendovi egli. Ciò detto si ritirò a casa, dove trovò un grandissimo tripudio di tutto il parentado. Il bimbo era ritornato alla vita e per giunta guarito! Cresciuto poi questi non sapeva indursi a vestir l’abito Cappuccino allettato principalmente dalle insinuazioni e carezze di sua genitrice; quando giacendo in letto una notte, fra sonno e veglia gli apparvero due Cappuccini, e con occhio bieco guardatolo, lo ripresero acremente di quella sua renitenza, e indi presero a bastonarlo. Diede atterrito e addolorato il giovane in fortissimi gridi, ed accorsi i genitori congiunti udirono il fatto e osservarono le lividure in effetto nel di lui corpo. Il giovane adempiendo il voto, si ebbe il nome di Frate Marcello.

FRATE  GIANMARIA,  VICO 

Nacque a Linguaglossa nella seconda metà del ’600 e a Linguaglossa morì nel 1762. La sua austerità di vita ebbe dell’eroico e del santo. Riuscì in effetto il più alto dispregiator di se stesso che avesse allor la Provincia. Altro non fu il suo letto, che salci di sarmenti, ed il guanciale un sacco di cenere. Fu Guardiano, Lettore e Maestro dei Novizi e diede saggi edificanti della sua umiltà. Spesso a sé chiamava i Novizi e proteso innanzi ad essi, gli imponeva di calpestargli la faccia, con farsi insiememente chiamare con epiteti di scellerato ed indegno. Fu taumaturgo e dotato di spirito profetico e predisse la sua morte e con tale precisione di giorno e d’ora che n’era, prima ancor di sortire, quel pubblico molto bene informato. A portarsi il suo corpo in Chiesa, era quivi pervenuto il gran concorso del popolo, e gli si divisero più abiti di lui ridotti in ritagli, con seguire molte grazie al contatto di quelli.

FRATE  GIROLAMO,  VIA  

Nacque a Linguaglossa dalla famiglia Scarlata nel 1661 e quivi morì il 18 Ottobre del 1723. Vestì giovanetto il saio di S. Francesco ed ebbe le cariche di Guardiano, Maestro dei Novizi, Lettore, Primo Definitore nel Capitolo di Nicosia del 1721, e Vicario Provinciale. Il Frate fu di santissima vita, e come Santo veniva cercato. La grazia delle curagioni era in lui sì notoria che ovunque di residenza trovavasi, a turbe eran condotti gli infermi secolari in Convento per essere da lui benedetti. Come da una pagina di un libro di edificazione del Trecento affiora alla fantasia commossa la semplice figura del Frate taumaturgo. Essendo stata sempre affezionata e divota del Padre Girolamo Suor Angelica Reganati, accorse, ch’avendo preparato certo cibo per sé, e lasciato il vaso senza il suo coprimento, nell’affaccendarsi per casa, entrò una gallina estera, e beccando in quel vaso, fece andare a male il contenutovi; di che accortasi, in quella prima stizza la suddetta, uccise la gallina con un legno. Dispiaciuta indi del fatto, temendo i gravi sconcerti da poterne seguire, invocò i meriti del Padre Girolamo... ed ecco vide in vita ritornare la gallina, che, sana e salva, se n’ ando per sua via alla padrona... Successe indi appresso a Vincenza Raiti di aver comprato un cavallo non ancor domo, che per avvezzarlo alla soma, consegnò a certi villani. Costoro però nel caricarlo d’arena così indiscreti furono ed incauti, che gli ruppero la schiena; chiamati intanto li pratici, e la frattura osservata, dissero non poterne affatto guarire. Onde fu fatto strascinare fuor delle mura per scorticarsi, tosto che fosse morto. Ciò in udire Suor Francesca Raiti, figlia della compratrice sudetta, e gran fede avendo nei meriti del Padre Girolamo, di cui era stata penitente, e di cui teneva addosso per sua divozione un ritaglio dell’abito, lo volle applicare su la enorme frattura di quella bestia, che incontanente si alzò da se stessa, e non mostrò più senso per tal lesione; onde da tutti fu giudicato miracolo per li meriti del servo di Dio da Suor Francesca implorati.  La morte del Frate Serafico fu degna corona alla sua vita: Dopo il Matutino si udì armonioso, non mai più udito concerto di voci e insieme di strumenti, che rapivano il cuore. Spiatosi attentamente donde mai procedesse, scopersesi essere quel concento nella cella dell’infermo P. Girolamo; aperto l’uscio allor cessò l’armonia di sentirsi, e fu trovato il servo di Dio, come estatico, col volto risplendente, come infiammato, e presso a pochi momenti cessò anco di vivere. Ai meriti e alla dottrina di Frate Girolamo si deve se Linguaglossa possiede la mirabile Custodia intagliata da Pietro Bencivinni da Polizzi.

FRATE  MARIANO,  VICO  

Antonio Tatì nacque a Francavilla di Sicilia nel 1809 da Giuseppe e da Maria Silvestro, agiati agricoltori e bovari del luogo. Vuole la tradizione che il piccolo Antonio, guardiano di porci, si dilettasse ad intagliare i collari dei buoi pascolanti per l’amena vallata dell’Alcantara. Vocato alla vita monastica entrò nell’Ordine dei Poverelli di San Francesco e fu Cappuccino col nome di Frate Mariano da Francavilla. Ma non dimenticò il suo otium preferito: seguitò ad intagliare statuette di Santi e sacri arredi, altari, armadi, balaustre, confessionili, ornando i suoi legni di fiori e foglioline colorate, di figure di Angeli e di uccelli, di simboli e di motivi geometrici, distribuendo gli ornati con una economia e con un gusto da fare invidia al più esperto degli artigiani. A Francavilla, nella Chiesa dei Cappuccini, lasciò la Balaustra dell’Altare Maggiore con due confessionili, l’Altare della Madonna delle Preci, finito nel 1848, (vi si legge, sempre intarsiato, il versetto: Progreditur quasi aurora consurgens),  e gli armadi della sagrestia finiti nel 1859. Probabilmente operò anche a Castelbuono. Nel 1866, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi monastici, Frate Mariano, accompagnato dal nipote Francesco Paolo Magaraci, da lui iniziato all’arte dell’intaglio (Francesco Paolo nacque nel 1851 a Francavilla e morì giovanissimo a Palermo  nel 1866 ) passò in Asia Minore, e in due Chiese di Smirne e Costantinopoli lasciò altri suoi pregevoli lavori d’intarsio. Ritornato a Francavilla, quivi mori a 72 anni, il 4 Marzo 1881.

FRATE  SALVATORE,  VICO

Nacque a Linguaglossa nei primi anni del ’600 e morì a Castroreale nel 1681. Gli annali dell’Ordine registrarono del nostro Frate laico soltanto la morte; ma una morte che illustra tutta una vita. Infermossi adunque nel Convento del Castroreale, ed aggravatasi la di lui infermità, volendo la medesima far consapevole il Padre Guardiano i cogionti dell’inferno, che numerosi sapeva averna a Linguagrossa di molte credito, ed interessati per il medesimo infermo; senza ciò palesare ad altri, sen’andò in cella per formare la lettera. Allora udissi il Padre Guardiano da Fra Salvatore chiamato: - Eh bene Padre, gli disse, che volete fare con avvisare i miei della imminente mia morte? Ciò non serve per rattristarli, e venir a disturbarmi dalla quiete, che mi sto godendo, e che ho molto più di bisogno per apparecchiare l’anima mia a comparire innanzi il Divin Tribunale -. Lo pregò intanto, che ciò non facesse; il Padre Guardiano credendo così voler di Dio nel vedersi scoperto tale occulto di lui pensamento, ne lo compiacque, lasciando di scrivere. Ma alla morte di Frate Salvatore assistettero ben altri congiunti: Dietro una striscia di luce discese a lato del letticciuolo la Gran Madre di Dio con la Gloriosa Vergine e Martire Santa Caterina.  Spirato placidamente l’infermo, dalla sua bocca uscì una stella, che giratolo per tre volte d’ intorno, confusa tra quella striscia di luce  verso il Cielo si avviò. E dal corpo inanime per tre giorni spirò un  soavissimo odore.

FRATE  UMILE  DA  MESSINA,  VICO

Sull’Altare Maggiore della Chiesa dei Cappuccini, si trova una bellissima pala d’altare, opera eseguita nell’anno 1659. E’ una grande opera ad olio su tela, raffigurante la Vergine Immacolata, influenzata nello stile dal manierismo.

FRUMENTO,  VICO  DEL

Era fino a non molti anni fa, insieme all’uva, il prodotto principale delle nostre campagne.

FUNICELLO,  VIA  DEL

Filoteo degli Omodei, lo storico castiglionese del cinquecento, ci dà un prezioso ragguaglio sulla cultura dei bachi nella nostra zona: E’ Messina abbondante d’alberi di mori che i Siciliani chiamanu ceusi. Si ritrova una certa sorte di semenza di vermi che, raccolta in una sottilissima pezza di lino, si tiene calda tra le mammelle delle donne, sin tanto che per calore dalla semenza nascono certi vermicelli piccolissimi e neri, li quali, ponendosi sopra le tenere prime fronde de’ mori e mutandosi più volte divengono al più della grossezza di un dito umano il più piccolo, di color lustro come oro... Or da quelle mendoline (cioè bozzoli), che i Siciliani chiamano funicelli, si fa la seta, cioè ponendosi in una caldaia d’acqua bollente; dalle quali i maestri tirando le fila della seta, che da quelle si tirano e sciolgono ravvolgendole nei manganelli, ne ritraggono la seta, della quale dopo si tessono li panni di seta.


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